Lo spettacolo è diviso in due tempi. Nel primo tempo viene eseguita la Cantata del Fiore; nel secondo tempo viene eseguita la Cantata del Buffo.
Questo dittico, per tredici strumenti, voci recitanti e voci cantanti, è il frutto di un lavoro che Cerami e Piovani avevano iniziato nel 1981 con lo spettacolo “Canti di Scena” presentato al Festival di Eraklion a Creta su commissione del terzo programma di Radio Atene.
La narratività emotiva della parola cantata, la musicalità della parola recitata, la teatralità dello strumento che suona in Ìscena sono i tre poli espressivi su cui si fonda e si sviluppa questa forma di spettacolo.
Lo spazio teatrale, scenicamente vuoto di elementi figurativi, viene riempito dal gesto musicale, dal suono della parola, dall’affabulazione melodica. E’ il filo che dipanandosi tutto concerta e tutto obbliga, è il racconto delle gesta dell’eroe tragico Narciso e del Buffo sconfitto Caramella, personaggi al quale la dimensione tragica è negata per mitico destino. Ritmo, suono, metrica e voce si organizzano intorno ad un unico cammino: la narrazione lirica di due speculari miti mediterranei.
Versi da recitare e versi da cantare
Le Cantate del Fiore e del Buffo contemplano versi da recitare e versi da cantare. Due scritture diverse che tuttavia debbono appartenere al medesimo testo poetico.
Il mio lavoro, assai bizzarro per la verità, è stato quello di far convivere nella medesima pagina versi come “son pigri ed obesi gli dei giapponesi” della Butterfly e le rime di Ovidio o di Gozzano.
Naturalmente una scrittura ha influenzato l’altra sul terreno comune rappresentato dal carattere sonoro sia della parola cantata che di quella recitata a voce alta. Se poi si tiene conto che la scansione ritmica della recitazione è dettata, in questo caso, da posizioni precise scritte sullo spartito del direttore d’orchestra, ecco che in entrambi i casi, per la parola da recitare e per quella da cantare, la loro funzione obbedisce alla stessa logica, vale a dire che tutte e due rientrano nello stesso percorso ritmico-musicale.
Certi toni giocati del testo recitato si sono resi necessari dal fatto che nelle canzoni i versi sono sempre fortemente caratterizzati, come ben sanno i parolieri: le rime delle canzoni hanno in genere il limite di dover obbedire millimetricamente alle note musicali, sillabe e accenti compresi.
Non è un caso che la poetica delle cantate contempli proprio questi giochi stilistici. Un velo di ironia, infatti, percorre i due testi musicali. Sia le note che i versi, così “contaminati”, sono costruiti con l’intento di formare un impasto musicale capace di rispecchiare in qualche modo la sonorità mista e contraddittoria dei nostri giorni, dove si esprimono quasi con la stessa dignità e intensità la canzonetta popolare, l’epos di miti che ci sopravvivono e le marcette di paesana memoria. Nella Cantata del Fiore si è scelto di narrare di nuovo il mito di Eco e Narciso, e nella Cantata del Buffo il protagonista è il barbiere del Re Mida, figura anch’essa ispirata alla mitologia classica. Il forte conflitto tra la creatura umana e gli dei, in un contesto poetico nel quale parola e musica sono in gioco, ci è sembrato la chiave di volta per meglio restituire lo struggente sentimento di inadeguatezza che molti di noi provano nei confronti di un mondo sempre più estraneo eppure così potente da condizionare la nostra esistenza. L’incapacità di riappropriarci pienamente del nostro destino, in un universo dove alto e basso si alternano continuamente, dove musica alta e parola alta parlano di meno, le prospettive si capovolgono, si mischiano, ci mostrano un inedito panorama scombinato, tutto da ricomporre.
Le Cantate si immergono in questo panorama e senza alcuna pretesa di mettere ordine, provano a cantarlo.