Il Mattino – 23 dicembre 2009
di Enrico Fiore
Il primo a musicare un poemetto di Eduardo («È asciuto pazzo ‘o patrone») fu nel 1980 Sergio Bruni, come per ricambiare il regalo del famoso «tu si ‘a vocia mia!». E allora Eduardo poté esprimere il suo parere su quelle note. Al telefono, dal camerino del Manzoni di Milano, mi disse: «È una musica virile, che assume il suono della dignità e della speranza».
Ebbene, credo che, se potesse, Eduardo esprimerebbe un parere identico anche sulle musiche scritte da Nicola Piovani per il poemetto «Padre Cicogna», presentato al San Ferdinando – a venticinque anni dalla morte del grande autore e attore – in forma di racconto sinfonico per quattro voci (il soprano Susanna Rigacci, il mezzosoprano Susy Sebastiano, il tenore Pino Ingrosso, il basso Alessandro Quarta), voce recitante (Luca De Filippo) e orchestra (quella del San Carlo diretta dallo stesso Piovani). Del resto, i due poemetti si somigliano.
Infatti, la stessa amarezza che pervade «Padre Cicogna» si respira, in «È asciuto pazzo ‘o patrone», nella descrizione di quei vicoli «addò ‘a ggente ce more e ce nasce / e ce nasce pe’ ‘nce murì». Ma uguale, poi, è anche il monito lanciato da Eduardo contro l’indifferenza e il tornaconto personale. Ed eccole, dunque, la dignità e la speranza: il prete spretato Padre Cicogna non riesce, perché sempre qualcuno gliene muore, a mettere insieme i tre figli nei quali reincarnare i Re Magi; eppure continua a far figli, impavido – lui che ha pronunciato quel voto tutto nudo davanti all’altare – di fronte all’odio perbenista del Supportico Lopez alla Sanità.
«Padre Cicogna», insomma, è sicuramente uno dei migliori (se non il migliore) fra i testi in versi di Eduardo. Non rimane mai prigioniero della dimensione psicologica, ma immancabilmente e strenuamente si apre a quella sociale. La chiusa recita: «Chistu fatto è succieso… / e s’è mmiscato / mmiez’a tant’ati fatte ca succedono». E durissima e altissima insieme si leva la condanna dei pregiudizi, delle menzogne e persino dei compromessi «che assicurano / il pane per la vita».
Nicola Piovani è riuscito davvero a farlo sentire, tutto questo: le folate dei fiati e delle percussioni sul tappeto melodico degli archi costituiscono l’esatto corrispettivo delle increspature sul mare suggerite dalle lacrime sui morticini di Padre Cicogna. E come si poteva rendere il formalismo dell’anatema scagliato contro il prete spretato dalla Chiesa se non racchiudendolo in un concertato da melodramma, la forma per eccellenza?
Dal canto suo, un commosso e orgoglioso Luca De Filippo ha fatto benissimo a collocare anche all’inizio, a mo’ di epigrafe, la chiusa citata, per poi chiedere alla fine: «Avete sentito come Eduardo è vivo?». Certo. E quell’epigrafe, allora, vale anche come un appello a non chiudere gli occhi.