Quando nel 1948 fu introdotto sul mercato il microsolco in PVC, correntemente detto vinile, c’erano alcuni nostalgici che rimpiangevano i bei vecchi 78 giri in gommalacca. Gli argomenti, come succede in questi casi, erano innocentemente goffi e insostenibili. Intendiamoci, la nostalgia è un vizietto al quale ci si può abbandonare con serenità in momenti sentimentali regressivi. Può essere di conforto coccolarsi pensando ai bei tempi degli scrocchi del vinile – o anche delle macchie d’inchiostro della penna stilografica, della televisione sbiadita in bianco e nero, o del cesso sul terrazzino. Si ha anche notizia di alcuni malinconici conservatori che, alla comparsa del 78 giri, rimpiangevano il suggestivo timbro degli antichi cilindri fonografici.
Conservo una voluminosa collezione di 33 giri, molti dei quali logorati dai tanti ascolti, a cui sono affezionato come a una vecchia macchina da cucire Singer che usava mia madre quando ero bambino. I miei LP sono raccolti in scaffali molto in alto, raggiungibili a fatica, faticosi da spolverare e praticamente inutili. Ma un pezzetto di feticismo non guasta, specialmente se hai lo spazio per coltivartelo: li guardo da lontano, di alcuni ricordo a memoria la dedica di chi me li ha regalati: un Boris Godunov di mio fratello Tonino, un Sgt Pepper’s di un’amica che non c’è più, un Pyramid del Modern Jazz Quartet comprato con i risparmi delle colazioni al liceo. Ma di tutti o quasi quelli interessanti possiedo la versione in CD, migliore dal punto di vista sia timbrico sia pratico.
Nessuno può mettere in dubbio, credo, che la qualità del suono digitale è evidentemente superiore a quella del suono analogico. Dico qualità in senso oggettivo, non di gusto, intendendo la fedeltà al suono originale, come per esempio nel caso di un’orchestra sinfonica. Se poi la moda recupera oggetti da rigattiere chiamandoli pezzi vintage anziché anticaglie, sono anche ben disposto a trovare tutto ciò divertente e leggero.
Switchare un LP sul piatto in discoteca può essere un gesto figo come switchare il gesso sulla lavagna, pelle d’oca permettendo. Tutto ciò attiene alle mode, effimere per definizione, e queste dettano comportamenti non solo in campo musicale. Nell’arte figurativa, per esempio, qual è la differenza fra il designer e l’artista tout court? L’artista aspira a creazioni che sfidino il tempo, che puntino all’eternità, con un occhio ambiziosamente rivolto ai posteri. Il designer punta a bellezze che dopo qualche anno devono risultare goffe, superate, vecchie, per proporne di nuove, come detta il mercato. In questo continuo svecchia-invecchia succede che, per svecchiare oggetti di ieri, si riciclano oggetti dell’altro ieri. Dai frigoriferi bombati ai dischi in vinile. I pantaloni anni Cinquanta vanno e vengono, L’ultima cena di Salvador Dalì è sempre lì a commuoverci, decennio dopo decennio.
Ma, a onor del vero, va ricordato che ci sono anche alcuni oggetti di designe che restano autentiche opere d’arte, superando abbondantemente i brevi tempi consumisti della moda che li ha visti nascere. E ci sono opere di artisti che puntavano all’eternità, che volevano parlare ai posteri, ma di cui è scomparsa anche la memoria. Succede.