Da un pò di tempo il meraviglioso Teatro Valle di Roma sta passando per via travagliate sotto le nuvole di un futuro incerto e in questi giorni è generosamente occupato da artisti che intendono difenderlo da ipotesi di destinazioni equivoche. Pervasi come siamo da un rassegnato pessimismo in cui rischiamo di cronicizzarci, ripetiamo spesso che, per affrontare bene certe gestioni, bisognerebbe che si togliesse di mezzo la politica. Questo perché intendiamo ormai la politica nel senso più misero della parola: clientele, lottizzazioni, protezioni. Il teatro italiano invece avrebbe bisogno proprio della politica; di una legge scritta da politici competenti e ben consigliati, che abbiano l’amore per l’articolo, come dicevano un tempo i bravi artigiani. Questa legge è attesa come il Messia, ma viaggia coi tempi del ponte sullo Stretto. I parlamentari italiani, si sa, non sono abituali frequentatori di teatro, a meno che non si tratti di grandi eventi.
E torniamo al Valle, il cui attuale edificio fu inaugurato nel 1822 non con uno spettacolo di prosa, ma con un’opera musicale: “Il corsaro” di Filippo Celli. Il Valle è infatti un luogo adattissimo a spettacoli musicali: ha un grande palcoscenico, una buona buca d’orchestra e un’acustica di pregio – solo in parte compromessa dai restauri. Si presterebbe bene a essere programmato come teatro musicale.
Non mi riferisco al teatro lirico, specializzato in melodrammi del passato, titoli antichi, allestimenti impegnativi, grandi cori, poche repliche, biglietti costosi. E nemmeno mi riferisco al teatro leggero – o fatuo, come ironicamente definiva il suo Sistina Pietro Garinei. Mi riferisco invece a un teatro in cui abbia un ruolo fondamentale la musica, che metta in campo sia il canto sia la recitazione parlata, che rinnovi i titoli, che impieghi orchestre piccole, agili, giovanili, che punti alla produzione di opere musicali nuove, italiane o tradotte, con lunghe teniture.
Naturalmente il teatro musicale, affidato alla logica del privato puro, è condannato a mettere in scena solo repertorio comico-brillante e a ricorrere a interpreti di richiamo televisivo. Un teatro musicale incentivato da interventi pubblici potrebbe invece risultare poco costoso, diventare un punto di aggregazione importante per il pubblico della città, permettere di sperimentare nuove forme teatrali, impiegare nuove leve di musicisti sfornati dai conservatori e, perché no, riscoprire titoli sorprendenti di quel repertorio malvisto che è l’Operetta Italiana.
Roma, secondo me, avrebbe bisogno di un teatro musicale, e il Valle ne sarebbe la sede perfetta . Giro il consiglio ai nostri pubblici amministratori.
Nicola Piovani