Dedico questo concerto a chi disse “se non passa in tv, non esiste”. Sono contento di aver condiviso con voi queste due ore di inesistenza. (Nicola Piovani)
Nicola Piovani è un miracolo.
Un miracolo che si compie in due ore di concerto sul palcoscenico del Teatro Argentina, in scena dal 7 al 11 giugno, e ripercorre brani celebri del compositore Premio Oscar.
“La musica è pericolosa”, come disse una volta Federico Fellini a Piovani. È pericolosa come lo sono le cose belle quando hanno a che fare con l’indicibile, come quel senso di spaesamento che ti coglie negli amori adolescenziali. “Anche se, secondo me”, asserisce Piovani, “gli amori sono tutti adolescenziali”. Così il pianista romano parte dal racconto su Fellini, che piangeva sempre quando ascoltava una melodia. È chiaro che una reazione così delicata e incauta potesse essere derisa da tutti, ma non da Piovani, che riprende oggi l’assioma felliniano e lo elegge a titolo del suo spettacolo: un dipinto a partiture senza confini con pennellate chiaroscure di musica e narrazione.
Si siede al pianoforte, circondato da un’orchestra formata da tastiere, fisarmonica, sax, clarinetto, violoncello, chitarra, batteria, percussioni e contrabbasso, e si mette a suonare. I musicisti esprimono segrete affinità elettive, seguono il compositore mentre sullo schermo scorrono fotogrammi dei film di cui stiamo ascoltando la colonna sonora, “L’intervista” e “Ginger e Fred” di Fellini, “Il marchese del grillo” e “Speriamo che sia femmina” di Mario Monicelli, “Hungry Hearts” di Saverio Costanzo.
Dopo aver suonato indimenticabili soundtrack con la grazia che muove le mani del pianista, Piovani rallenta, si alza in piedi e porta a passeggio per il palco la sua ironia, come un cagnolino fedele. Si fa cantore di tempi antichi per raccontarci della forza dirompente della musica, del potere del canto delle sirene “che in origine erano creature spietate dell’isola di Capri, metà donna e metà uccello, dal Medioevo in poi diventano metà pesce”. Narra della loro sconfitta nel duello con Orfeo che le spiazzò con il controtempo, spingendole al suicidio. Da questo mito nasce “Partenope”, brano segnato da un pianoforte struggente, da archi cupi e dall’eco malinconica del sax.
Segue “La danza dei sette veli”, il ballo con cui Salomé ammaliò Erode per chiedergli su un piatto la testa di Giovanni Battista. Una danza musicale scandita dalla sensualità degli archi e dal ritmo arabeggiante del clarinetto, un brano in cui eros e morte si fondono in un’unica armonia, accompagnato dai disegni di Milo Manara.
Prosegue il concerto alternando aneddoti e musica, che parlano con linguaggi diversi degli stessi argomenti. Di teatro e di cinema, della folgorazione per Chopin, Beethoven e per Marcello Mastroianni che cantava “Caminito” sul set di “De eso no se habla”, film argentino del 1993. Di quel ripetersi sempre identico e sempre diverso del re-mi-fa delle campane del convento delle suore di Ivrea, che furono il motore creativo del “Bombarolo” di De André. Della gioia infantile che esplodeva in Piovani quando sentiva da lontano arrivare la banda del paese che, musa ingenua e inconsapevole, ispirò il brano dell’ingresso in scena di Roberto Benigni, presente in platea all’Argentina.
Benigni che chiese a Piovani una canzone sentimentale per concludere uno spettacolo comico, “una melodia semplice, di quelle che ti sembra di aver già sentito, che dica solo ‘quanto t’amo!’”. “Quanto t’amo”, per ragioni metriche, è diventato “Quanto t’ho amato” e Piovani e l’orchestra la suonano con tale gentilezza, delicatezza e umanità che vi spingerà irrefrenabilmente alle lacrime, e finirete per turbare il vostro vicino.
Ma “in amor le parole non contano, conta la musica” e il concerto si chiude con “La vita è bella” e “Buongiorno Principessa” mentre il pubblico trasalisce, presente a se stesso e a quello che ascolta. “Perché la musica è questo: musicisti in carne e ossa che suonano a un pubblico in carne e ossa” e condividono un momento di magia più vero del vero, per sua natura irriproducibile.
Se la musica è pericolosa, Nicola Piovani uccide. Tocca l’anima e la accartoccia, accompagna in un viaggio ipnotico che cambia l’alchimia interiore e, alla fine, riporta in vita.