Il Fatto quotidiano – 3 febbraio 2016
di Antonio Capitano
Letteratura nella musica e la musica nella letteratura. Un respiro di bellezza. Nicola Piovani con la sua maestria riesce , ancora una volta, a dar vita al mito antico in un modo unico, originale: perché la figura di Ulisse riesca ad alzarsi dalle pagine e, attraverso una reinterpretazione sociale, travalichi lo spazio e il tempo e si faccia attuale, moderno, reincarnato. E così l’uomo comune riesce ad avere la dignità che merita trovando spazio tra le fatiche delle lotte quotidiane. Un esercito di anonimi silenziosi tesse, costruisce , risolve.
A dispetto di coloro che sono capaci solo di distruggere. Definire i “Viaggi d’Ulisse” non è cosa semplice poiché il terreno non può essere solo quello dello “spettacolo”, ma si configura propriamente quale alto e sensibile momento culturale, un navigare a largo che solo l’epica e la musica sanno intraprendere. Un vero e proprio concerto mitologico che rispetta pienamente tale denominazione.
Tutto assume un senso importante mentre la splendida esecuzione con lo straordinario virtuosismo dell’Ensemble Aracoeli incanta l’ascoltatore. C’è un grande lavoro di preparazione e si vede, si avverte e le note divengono immediatamente voci del passato protese verso il futuro. C’è in Piovani la voglia di raccontare l’Ulisse quale protagonista assoluto di un viaggio che non ha mai fine, un viaggio interiore, ma anche il viaggio estremo del bilancio di ogni vita. Ma non bisogna immaginare un navigatore straordinario: basta pensare all’operaio che consente al proprio figlio di elevarsi socialmente, navigando per tutta l’esistenza nei piccoli corsi d’acqua della quotidianità, spesso difficoltosi per mancanza di mezzi, e perigliosi. E’ una società ingiusta la nostra e piena di insidie nella quale il riscatto sociale avviene con grande spargimento di lacrime e fatiche.
allora il volto di Pasolini, scelto da Milo Manara, per l’Ulisse “moderno” o meglio ‘contemporaneo’ assume un significato del tutto realista e par di sentire la voce stessa di Pasolini sul valore degli sconfitti “ Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo . Raccontare l’esistenza con la sua l’opera, la cui messa in scena si è appena conclusa al Teatro Eliseo, è davvero una perfetta sintesi tra mito e storia reale che riesce a semplificare le narrazioni infaticabili e intriganti di un Joyce, arrivando al cuore e alla mente senza riprendere fiato.
In questo la sensibilità di Piovani raggiunge vette altissime soprattutto quando, con una meravigliosa introduzione ai brani, il Maestro sottolinea con delicatezza le ragioni che lo hanno portato al suo particolare Viaggio. Piovani ha indicato in tre donne italiane Margherita Hack, Samantha Cristoforetti e Fabiola Giannotti lo sforzo e il coraggio di “superare le colonne d’Ercole” che metaforicamente rappresentano la soglia della conoscenza invisibile che chiede visibilità e conquista.
La musica, dunque , si fonde con le “voci di dentro” di una letteratura senza tempo che Omero immagina da sempre come la trama inesauribile del destino dell’uomo. L’opera musicale è arricchita da innesti vocali e strumentali che creano armonie antiche e moderne a loro volta annodate all’ intreccio recitativo di grandi attori e attrici che leggono con sapiente intonazione alcuni passi omerici. Il tutto si interseca perfettamente tra i tempi musicali, mentre l’arte di Manara ci conduce visivamente tra i personaggi del mito così precisi, umani e divini da sembrare vivi.
‘Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore’.
Ecco i versi che chiudono il cerchio tracciato dalla musica di Piovani. La dolce conclusione di un compiuto periplo con i versi di Saba che rimettono nel firmamento musicale gli istanti di vita vissuta e da vivere, come in un mare dove si insegue il mito di una eternità che l’uomo ritrova solo in se stesso.