Prima esecuzione assoluta del Preludio sinfonico di Nicola Piovani
Sarajevo. Preludio sinfonico (Preludio a una carneficina)
“Quando l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai mi ha proposto di scrivere una composizione sinfonica da eseguire per la celebrazione della Grande Guerra, ho provato un po’ di imbarazzo, oltre a sentirmi naturalmente gratificato per la commissione. Sono da sempre pacifista, e non lo sono solo ideologicamente, lo sono fisiologicamente. Mi inquietano i fatti cruenti e non riesco a trovare nessuna logica plausibile in una battaglia sanguinolenta. Come potevo allora celebrare in musica una carneficina planetaria? Diciotto milioni di morti, otto milioni di civili e dieci di militari? Che poi chiamarli militari è anche ambiguo, perché è un termine che oggi ci suggerisce un’immagine di professionisti, quasi sempre uomini che scelgono l’arma come mestiere. Mentre all’epoca molti dei nostri soldati erano ragazzi, anche giovanissimi, che andavano a combattere solo perché obbligati, e che andavano a fare una guerra di cui non sapevano – e spesso non volevano sapere – niente. Mio padre mi raccontava di adolescenti che partivano dalle campagne con i calzoni corti, piangendo, chiamando il babbo e la Madonna, sapendo di avere puntato alla schiena il fucile riservato ai disertori. In che modo poteva entrare la mia musica in questa commemorazione?
Poi, leggendo e rileggendo, la mia attenzione è stata attratta dalla data del concerto, il 28 giugno, la data dell’attentato di Sarajevo, in cui caddero l’erede al trono Franz Ferdinand e la giovane consorte Sofia, l’attentato che diede il via alla prima guerra “mondiale”. E’ opinione condivisa che naturalmente si trattò di un pretesto per accendere una polveriera pronta da tempo a esplodere. Ma mi viene anche da pensare che, senza quella miccia, la polveriera Europa sarebbe esplosa lo stesso, sì, ma in un’altra data, con altre modalità, con altri sviluppi, con effetti forse peggiori, ma anche no. Beh, ho cercato di immaginare quei ragazzi idealisti: Gavrilo Princip detto Gavro, e i suoi compagni con nomi per noi impronunciabili – Nedeljko, Trifco, Cubrilovic… – che si ritrovano a Sarajevo una domenica mattina di Giugno, nel giorno di San Vito, il santo simbolo del patriottismo serbo. Si soni armati di bombe, pistole e pillole di cianuro: sì, cianuro, perché il programma prevede che alla fine dell’eroico gesto i giovanotti si suicideranno per non cadere in mano alla polizia austro-ungarica. Dei Kamikaze, diremmo oggi, che giocavano la loro vita per inseguire un ideale di libertà, non per un interesse personale; agivano per convinzione, non per convenienza. Avevano diciotto, diciannove, vent’anni, questi terroristi libertari, con alle spalle probabilmente qualche ombra dei servizi segreti che li strumentalizzavano – un meccanismo che non ci meraviglia di certo: non sarebbe stata né la prima volta né l’ultima.
Passeggio oggi per le strade e guardo in faccia i ragazzi di quell’età, per immaginare meglio come dovevano essere quei ragazzini che, pieni di ideali e di batticuore, quella mattina cercavano il gesto eroico e nobile, e andavano ad accendere una miccia che avrebbe fatto detonare una polveriera molto più grande di loro e di tutti noi.
Per celebrare quella mattina del 28 giugno del 2014, piena di sole e di laceranti contraddizioni che ancora oggi ci riguardano, ho scritto un breve brano sinfonico che si articola in due parti: un ansimante cammino verso il gesto eroico, oscillante fra il tremore della paura e la spinta del coraggio; seguito da uno scoppio e da un breve adagio in cui due trombe, intonano l’eco di un silenzio, per rendere onore a diciotto milioni di morti, vittime di una insensatezza criminale planetaria.
Nelle ultime due misure della partitura, si udranno le voci di caduti che bisbigliano per tre volte l’invocazione: “Pax”.”
Nicola Piovani